L’incompetenza che si accompagna alla supponenza

Un giorno, nel 1995, un uomo di mezza età rapinò due banche a Pittsburgh, negli Stati Uniti. Lo fece alla luce del sole, senza indossare maschere o travestimenti, ma anzi sorridendo alle telecamere di sorveglianza prima di uscire dagli edifici.

Quella notte la polizia arresto McArthur Wheeler, l’uomo responsabile delle rapine. Quando gli mostrarono le registrazioni di sorveglianza, l’uomo apparve sorpreso e mormorò contrariato: “Ma mi ero cosparso di succo!”.

A quanto pare l’uomo pensava che ricoprirsi di succo di limone fosse sufficiente a renderlo invisibile. Dopotutto, deve essersi detto, è così che funziona l’inchiostro simpatico, quindi sarebbe stato sufficiente tenersi alla larga dalle fonti di calore per risultare invisibile a tutti.

La vicenda incuriosì lo psicologo David Dunning che incaricò un suo studente, Justin Kruger, di studiare il caso. I due rilevarono come alcune persone tendano a sopravvalutare le proprie abilità. Certo, non è una novità: secondo una ricerca sulle abilità alla guida, ad esempio, l’80% dei guidatori americani si giudica sopra la media degli altri autisti – il che risulta statisticamente impossibile.

Dunning e Kruger fecero nuovi esperimenti misurando la capacità di autovalutazione di gruppi di studenti. Qualunque fosse l’ambito esplorato (grammatica, logica…) il risultato era sempre lo stesso: gli studenti meno brillanti tendevano a sovrastimare le proprie prestazioni e a sottovalutare il livello medio del gruppo.

In altre parole: l’incompetenza spesso si accompagna alla supponenza. Niente di nuovo sotto il sole: Socrate affermava che “è sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”.

Chi non ha percezione dei propri limiti, infatti, tende a non riconoscere le competenze degli altri. Si tratta di un bias cognitivo, una delle numerose distorsioni della nostra capacità di valutare dovuta a processi mentali inadeguati.

Al crescere dell’apprendimento il senso di superiorità diminuisce, e la fiducia in se stessi ricomincia a crescere solo quando le competenze superano un certo livello.

Due conseguenze vanno osservate: 1) chi è incompetente non sente alcun bisogno di accrescere il proprio sapere; 2) nemmeno i maggiori esperti arrivano al livello di fiducia in sé che dimostrano gli incompetenti, proprio perché i primi si rendono conto della complessità della materia.

Questa “illusione di fiducia” è oggi chiamata l’effetto Dunning-Kruger, e oggi purtroppo non ci rimane che constatarne le conseguenze in numerosi dibattiti pubblici sui più disparati argomenti.

La sindrome di Hermione. Perché le donne studiano di più ma guadagnano meno

Le donne hanno fiducia in se stesse solo quando sono perfette. Parte da questa constatazione la riflessione della psicologa Lisa Damour che sul New York Times si interroga su un semplice quesito: perché le donne sono generalmente più brave a scuola ma, una volta inserite nel mondo del lavoro, si trovano a ricoprire ruoli di responsabilità in misura minore rispetto agli uomini?

La domanda è in parte provocatoria, naturalmente, perché non si può ignorare come secoli di disparità fra generi abbiano plasmato la società in cui viviamo. La Damour però suggerisce che c’è qualcosa che acuisce il ”gender gap” e lo individua nel “confidence gap”, ovvero la disparità di fiducia, l’insicurezza di fondo.

Fin dalla scuola le donne si sentono sicure solo quando hanno studiato a perfezione la lezione; gli uomini invece imparano più spesso a “cavarsela”, a ottenere il massimo del risultato con il minimo sforzo. La psicologa americana ha dato a questo fenomeno il nome di “Sindrome di Hermione”, citando l’amica di Harry Potter che scrive saggi più lunghi di quanto richiesto e che è convita che potrà raggiungere il successo solo studiando maree di libri.

Così, secondo l’autrice di questo studio, nel mondo del lavoro le donne non si fidano delle proprie capacità, anche quando queste sono superiori a quelle di molti uomini, trattenendosi spesso dal cercare di raggiungere posizioni lavorative soddisfacenti e venendo scavalcate da chi “si butta”.

Secondo la Damour è necessario insegnare alle bambine “l’economia dello sforzo” che non vuol dire abbassare le aspettative o rinunciare alla preparazione, ma semplicemente imparare a usare la tattica per individuare quanto sforzo è realmente richiesto per raggiungere l’obiettivo cercato. La strada, secondo la Dalmour, è quella di rendere le bambine meno ansiose, spiegando loro che l’ansia è normale fino a un certo punto, perché dimostra che “ci tengono”, ma che non deve trattenerle dall’inseguire ciò che meritano.

Quanto dura una relazione

Dimmi come litighi e ti dirò quanto durerà la tua relazione. Il professor John Gottman dell’Università di Washington ha seguito centinaia di coppie per oltre un decennio e ha individuato, studiando le loro discussioni, quelli che ha chiamato “i quattro cavalieri dell’Apocalisse”. Si tratta di quattro indicatori che suggeriscono quale sarà il futuro di una coppia, se questa evolverà rinforzando la relazione o se finirà per separarsi.

1) La critica. La coppia è a rischio quando nelle discussioni la critica a un comportamento o a un’azione che hanno dato fastidio diventa un giudizio di valore sull’altra persona. La critica deve sempre prendere di mira il comportamento e non la persona, perché una critica non costruttiva non aiuta la crescita dell’altro né quella del rapporto. È importante rimanere concentrati sull’atteggiamento che disturba senza far sentire giudicata l’altra persona.

2) La difesa. L’altra faccia della critica è la difesa. Sentirsi feriti dalle accuse mosse sulla propria persona è normale, ma è importante non ritagliarsi il ruolo di vittima o, al contrario, ribattere con nuove critiche sulla persona. Bisogna avere la consapevolezza per riconoscere questo meccanismo e la forza per evitarlo.

3) Il disprezzo. Battute sarcastiche, disapprovazione, poco rispetto per l’intelligenza dell’altro. Quando si arriva a questo punto probabilmente è necessario il supporto di una terapia che aiuti a chiarire i motivi per cui situazioni irrisolte e accantonate abbiano nel tempo avvelenato la coppia.

4) L’ostruzionismo. Si verifica quando una persona si ritira dalla conversazione per evitare di essere ferita, per non lasciarsi schiacciare da dinamiche che non riesce a controllare. In questo caso è necessario che entrambi i partner capiscano che la discussione non sta portando risultati e che si impegnino per trovare una comunicazione più efficace e rispettosa.

Non importa quanto amore si possa provare per il partner. Se durante le discussioni si riconoscono questi indicatori significa che la modalità di interazione della coppia va modificata. Con il coinvolgimento di entrambe le parti, e con uno sforzo di autoconsapevolezza, è possibile portare la relazione a un livello di maturità maggiore.