L’ortoressia e “l’integralismo alimentare”

Qualche sera fa mi sono imbattuta in una divertente scenetta di Maurizio Crozza che interpretava il personaggio di Germidi Soia, chef vegano del ristorante “Satùt-de-Cartòn”. Il comico genovese estremizzava in chiave comica l’attenzione per la cucina vegana, ayurvedica e crudista, ma è innegabile che in questi anni si stia fortunatamente cercando una diversa consapevolezza legata al cibo e al modo che abbiamo di nutrirci. Come tutte le nuove tendenze, anche quella dell’alimentazione sana si porta dietro una scia di domande alle quali nutrizionisti e medici stanno cercando di rispondere.

Esistono però anche delle implicazioni psicologiche, e nel 1997 Steven Bratman coniò un termine per indicare la ricerca ossessiva di alimenti sani: ortoressia. L’attenzione esagerata per la selezione del cibo, il preferire sempre la salute al gusto e sentirsi in colpa se non si segue la dieta autoimposta; ma anche il sentirsi bene solo se si mangia nel modo ritenuto corretto e impiegare eccessivo tempo nella pianificazione e preparazione dei pasti sono fattori che portano a considerare l’ortoressia come una nuova dipendenza a carattere ossessivo-compulsivo. Ovvero, una problematica legata all’ansia non gestibile e a comportamenti altrettanto involontari. Esattamente come l’anoressia e la bulimia, con la differenza che il pensiero è rivolto alla qualità del cibo ingerito, e non solo alla quantità.

Le persone con queste tendenze alimentari dimostrano spesso di essere affette da problemi di ipocondria, e di cercare spasmodicamente un corpo forte che resista a contaminazioni, malattie e anche allo scorrere del tempo. In molti casi queste fissazioni nascono da una lettura parziale della realtà, così come ci viene restituita dai media che ci hanno parlato, nel tempo, di mucca pazza, aviaria, e salumi cancerogeni, portandoci a sovrastimare alcuni pericoli.

Attenzione: stiamo parlando di una patologia, che deve essere distinta dalla semplice ricerca dei cibi sani. Si tratta di un vero “integralismo alimentare” che può compromettere altri aspetti della vita, come le relazioni sociali, l’equilibrio fisico e psicologico.

L’ortoressia può portare a un isolamento sociale: non è facile partecipare a occasioni mondane – in Italia, soprattutto, spesso basate sul cibo – con chi non condivide le stesse abitudini alimentari. Pensiamo che per un ortoressico, ad esempio, anche semplicemente prendere un caffè può diventare un problema.

Sul versante più intimo e personale, invece, le persone affette da ortoressia praticano una rigida osservazione di regole autoimposte, e possono vivere un senso anche profondo di malessere per qualsiasi eccezione. Controllare l’alimentazione può diventare un modo per illudersi di avere il controllo su se stessi,una modalità disfunzionale per cercare di abbassare l’ansia e migliorare l’umore, ecco perché anche mangiare una patatina può avere ripercussioni e turbamenti più profondi.

L’ortoressia, fatta rientrare nel DSM 5 nel “Disturbo evitante/ restrittivo dell’assunzione di cibo”, una volta diagnosticata da uno specialista, può essere trattata preferibilmente con approcci integrati che comportino i contributi di psicoterapeuti, medici e dietisti.